Il sostegno alla famiglia, nelle modalità in cui un cattolico vorrebbe si realizzasse nella propria città o, più in generale, nel proprio paese, deve tenere conto delle tante sfaccettature che tale priorità pone se si vuole concretamente contribuire alla sua realizzazione.
Per questo motivo è bene che il tema della famiglia venga affrontato anche nei termini di quella che definiamo una “buona politica per la famiglia”. Ecco, quello che manca nel nostro paese, e quindi nelle nostre città, è proprio una buona politica per la famiglia che consiste anch’essa in una complessità di interventi.
Molti di questi interventi però mancano e questo rende le politiche attuali assolutamente incapaci di sostenere concretamente una realtà così importante come la famiglia. Spiccano in tal senso le fosche prospettive del welfare locale a causa delle decisioni assunte in questi anni dal governo in carica nell’ambito degli interventi di riduzione della spesa.
Se ancora tengono le prestazioni monetarie come gli assegni sociali, le invalidità civili, gli assegni di maternità e al nucleo con almeno tre figli, per l’erogazioni dei servizi la situazione è disastrosa: per il recupero dei tossicodipendenti, il trasporto dei disabili, l’integrazione dei migranti, i servizi per minori, gli asili nido, i servizi di prevenzione, gli interventi per i non autosufficienti le prospettive sono pessime: la legge di stabilità per il 2011ha infatti quasi azzerato i trasferimenti sociali alle Regioni: il Fondo per le politiche sociali è stato ridotto dal 2008 ad oggi da 1 milione di euro a 400 mila; il fondo per le non autosufficienze di 400 milioni è stato azzerato (serviva per gli assegni di cura). Stessa sorte è toccata al fondo per la famiglia ridotto dai 174 milioni del 2010 ai 51 del 2001, al fondo per le politiche giovanili ridotto da 81 milioni a 13, al fondo affitti ridotto da 141 milioni a 33. Il fondo per il diritto allo studio, che ammontava a 264 milioni nel 2009, si è ridotto a 99 milioni nel 2010 mentre il fondo per la gratuità dei libri nella scuola dell’obbligo (103 milioni nel 2010) inizialmente risultava azzerato e solo successivamente si è provveduto, per il solo 2011, ad integrarlo con 100 milioni.
Un accanimento gravissimo verso i servizi sociali comunali che tanto garantiscono il sostegno alle famiglie.
Di fronte alle numerose richieste di ripristino di tali fondi è stato più volte risposto che i vincoli di bilancio lo impedivano, ma i vincoli di bilancio non hanno impedito di destinare risorse aggiuntive per tenere separatamente le elezioni amministrative e i referendum (300 milioni) o per reintegrare i tagli di 236 milioni di euro alla cultura e quelli di 425 milioni per i trasporti locali. Questione di scelte. Inoltre tale contrazione di risorse,  tutta sul versante del welfare comunale, fornisce un contributo minimo al cosiddetto risanamento poiché il peso del settore sull’insieme del bilancio pubblico è marginale.
Elevati saranno invece i costi sociali. I comuni saranno spinti (lo sono già) a diminuire la già scarna offerta di servizi o di abbassarne la qualità con un impatto negativo sulla popolazione.
Perchè allora tanto accanimento contro i welfare dei comuni? La motivazione di chi ritiene che non possiamo permettercelo in una situazione di crisi è falsa perché la spesa per i servizi comunali è una goccia nel mare delle risorse dedicate alla protezione sociale tramite trasferimenti monetari (il più delle volte fonte di speco… questi sì) e perché servizi efficienti servono proprio nei momenti di crisi economica.
Perché allora? Probabilmente perché le politiche italiane non sono guidate da priorità chiare, ma dalla capacità di pressione di soggetti organizzati e di lobby e, come si sa, le politiche sociali e i servizi dei nostri territori hanno ben pochi difensori, almeno fino a che non ci si accorge della loro mancanza.
Per questo è bene parlarne perché è bene che ci si renda conto che un sistema integrato di interventi e servizi alla persona garantisce la tenuta di un tessuto sociale che, nel nostro paese e nelle nostra città, rischia la rottura la cui vittima principale sarà proprio quella famiglia a cui diciamo di tenere tanto.

(di Giovanni Santarelli)