In occasione del 25 aprile, festa della liberazione dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista, è cresciuto il dibattito sul significato dell’antifascismo oggi. Se è certo che nell’antifascismo vanno riconosciuti i valori fondanti della nostra Repubblica, che vuol dire essere antifascisti a più di settanta anni dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla nascita della Repubblica italiana? Rispondere a questa domanda significa innanzitutto porsi la questione della democrazia. La democrazia non è a rischio perché anche in Italia, come in altri Paesi europei, crescono le manifestazioni di movimenti filo-fascisti, ma perché cresce la sfiducia nella partecipazione alla vita politica e nelle istituzioni democratiche. La crisi della politica e la crisi delle istituzioni democratiche rischiano di trasformarsi in crisi della democrazia. Come è possibile rinsaldare la democrazia e ampliare gli spazi di partecipazione democratica? La risposta non può essere soltanto una risposta politica, né può essere solamente scendere in piazza e tantomeno può essere lo scontro fisico con i movimenti neofascisti. Il problema non è soltanto la crescita delle formazioni neofasciste: sta crescendo una cultura nazionalista, xenofoba e razzista. E allora la risposta non può che essere anche culturale: si tratta di operare costantemente, a partire dai piccoli gesti e dalle piccole scelte quotidiane, per costruire una cultura della convivenza, della solidarietà e del rispetto reciproco, nella convinzione che l’incontro con l’altro e con il diverso da noi ci arricchisce. Ma la risposta non può essere neppure solamente culturale. C’è bisogno anche di una risposta sociale. Se, come è indiscutibile, il nazionalismo, la xenofobia e il razzismo trovano alimento nei problemi della società italiana (ed europea), dobbiamo affrontare quei problemi. Per ridurre le contraddizioni che generano esasperazione, disagio sociale e radicalizzazione politica, occorre affrontare con determinazione problemi come la disoccupazione giovanile, la povertà di tante famiglie, la caduta di reddito dei ceti medi e la crescita delle disuguaglianze sociali. Essere antifascisti oggi, insomma, significa praticare forme di partecipazione democratica, operare per rendere la nostra società più coesa e solidale e, infine, costruire un futuro basato sulla convivenza pacifica, sul rispetto dei diritti umani e sulla giustizia sociale.

Centro studi ACLI Marche