Di recente il dibattito sulla transizione ecologica, oltre a porre molteplici problemi di carattere sia ambientale ed energetico, sia economico e sociale, sta suscitando discussioni e ripensamenti in merito a innumerevoli temi, alcuni dei quali sono di particolare interesse per la nostra regione. Realizzare la transizione ecologica significa, ad esempio, ragionare anche su come rispondere alla necessità di un riequilibrio territoriale fra città e montagna. Metromontagna è il titolo di un libro recente che, pur riferendosi prevalentemente all’area padana, tocca un tema centrale anche per le Marche. Quale rapporto fra la città lineare sorta lungo la costa adriatica e la vasta fascia appenninica in una regione come le Marche? E come operare per un riequilibrio territoriale in una regione che deve affrontare una doppia ricostruzione; quella del dopo-terremoto e quella del dopo-pandemia?

Il terremoto del 2016 e la pandemia del 2020 hanno rimesso in discussione il cammino intrapreso dalla Regione Marche dopo il sisma del 1997. Nell’entroterra il terremoto del 2016 ha provocato un nuovo drammatico esodo (30.000 sfollati), ha bloccato la ripresa che era iniziata e ha fatto capire che per il futuro non si può puntare unicamente su turismo e cultura. A sua volta il Covid ha costretto tutti a ripensare i cardini del nuovo sviluppo ormai necessario: il nuovo sviluppo dovrà poggiare su salute, sostenibilità e stili di vita più genuini, Welfare territoriale e reti di prossimità.

Ma non si tratta soltanto di questo. Dobbiamo prendere atto che l’emergenza sismica e quella sanitaria hanno colpito una regione già in difficoltà a causa della crisi economica e finanziaria del 2008, con la quale per l’Italia dei distretti è finito un ciclo. I dati Istat e le analisi Svimez attestano che le Marche si stanno allontanando dalle aree più dinamiche del Paese. Il Rapporto Svimez 2020-2021 ha confermato una tendenza di fondo emersa già da anni, innescata dalla crisi del 2008 e documentata nel 2015 dal Rapporto “Marche + 20”. Come previsto in quel Rapporto, senza correttivi le Marche sono destinate a scendere sotto il livello medio italiano di sviluppo.

Nella regione i ritardi si sono accumulati. Dopo il 2008 il sistema produttivo marchigiano ha dimostrato una scarsa capacità innovativa; alla crisi del sistema bancario regionale si sono aggiunte alcune gravissime crisi aziendali e preoccupanti vendite di grosse aziende a imprese estere; il Covid, a sua volta, ha fatto emergere con evidenza le gravi debolezze del Welfare marchigiano; la stessa coesione sociale è ormai a rischio. Dobbiamo renderci conto che stiamo vivendo una vera e propria cesura nella storia della nostra regione.

Sono evidenti l’esigenza di conciliare ricostruzione e sviluppo e la necessità di una nuova visione dello sviluppo, ma con l’esplodere del Covid sono emersi anche altri obiettivi, in particolare la centralità del sistema di Welfare e la necessità di ripensarlo a livello regionale dopo i tagli del passato. Mentre il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza sta offrendo nuove opportunità, con l’emergenza climatica non poche delle priorità sono cambiate.

In una regione caratterizzata da un forte policentrismo, resta fondamentale l’obiettivo di un nuovo modello incentrato su un equilibrio fra aree urbane, aree rurali e aree interne e basato su innovazione sociale e sostenibilità ambientale; servono però nuove infrastrutturazioni digitali e il potenziamento dei servizi essenziali sulla base dei criteri individuati dalla Strategia nazionale delle aree interne. Nelle aree interne: non si ha rilancio se non vengono garantiti alcuni servizi fondamentali come sanità, istruzione, mobilità e accessibilità. Così pure, le nuove prospettive di sviluppo devono basarsi, oltre che su turismo, ambiente e valorizzazione del ricco patrimonio culturale, anche su innovazione tecnologica e alta formazione, ma non devono trascurare le attività manifatturiere, specialmente nelle specializzazioni più legate ai territori.

Tutto ciò richiede una riorganizzazione istituzionale e amministrativa. È una riorganizzazione che tocca i vari enti presenti nel territorio. La riorganizzazione auspicata dovrebbe partire dai piccoli Comuni per i quali vanno previste forme di aggregazione, ma deve toccare il livello intermedio delle province e anche il livello regionale.

Serve un nuovo progetto di regione, ma non è chiaro quale debba essere il nuovo modello. Tutti concordano sulla necessità di affrontare il problema con un ripensamento dell’Ente Regione attuale, che in 50 anni ha mostrato molti limiti, ma poi le proposte divergono e talvolta appaiono inconciliabili. Vi è chi rilancia il federalismo e chi spinge invece perché lo Stato si riprenda il suo ruolo.

Il Covid ha obbligato tutti a rimettere in discussione alcune scelte del federalismo del recente passato. Con la pandemia sono emersi i rischi connessi agli ostacoli che le Regioni possono frapporre a quelle scelte unitarie che sono risultate necessarie durante l’emergenza sanitaria. Il Covid insomma ha fatto riemergere con forza il ruolo fondamentale che solamente lo Stato può svolgere. E non solo in tema di salute. Con l’emergenza climatica, accadrà la stessa cosa anche sui temi ambientali.

Le idee più innovative e le indicazioni più stimolanti vengono non dal Parlamento italiano, ma dall’Europa. Ecco tre esempi: 1) Per riabitare i luoghi marginali, come previsto dalla Strategia europea delle Aree Interne, occorre realizzare un nuovo equilibrio: è l’obiettivo della politica di coesione che punta a un’Europa più intelligente, più verde, più connessa, più sociale, più vicina. 2) Di fronte al Neo-urbanesimo come modello dominante, l’Europa sta operando per rafforzare un nuovo modello incentrato su un equilibrio fra città e campagna, in cui siano centrali l’innovazione sociale e la sostenibilità ambientale. 3) Quanto detto vale anche per il ruolo che può svolgere la montagna nella nuova fase che si è aperta con il cambiamento climatico e che ci porterà a una emergenza ambientale.

Proprio i temi ambientali suggeriscono un’ultima riflessione. L’Appennino potrà svolgere un ruolo ancora più rilevante: quello di divenire per l’intero Paese un grande laboratorio dove sperimentare uno sviluppo sostenibile. Si tratta di riscoprire le grandi potenzialità – non solo turistiche e ambientali, ma anche socio-economiche e culturali e – delle nostre zone interne appenniniche, capaci di indicare anche alle città costiere e collinari nuovi e sostenibili percorsi per il futuro. L’obiettivo comune è quello di giungere a una nuova alleanza costa-montagna, in modo da realizzare forme di cooperazione territoriale all’interno di una rete policentrica, ma solidale.

La realizzazione di tutto questo richiede però una notevole capacità di governo e una chiara visione del futuro. Nelle Marche, entrambe, almeno finora, sono apparse molto deboli.