Le elezioni regionali del settembre 2020, rinviate a causa del Covid, si tengono in un momento difficile per la storia delle Marche e dell’intero Paese. Oltre a sollecitare percorsi di nuova partecipazione e di impegno diffuso con l’obiettivo di ridare speranza ai tanti cittadini colpiti dalle conseguenze della crisi e dall’ansia per il proprio futuro, una Associazione come le Acli non si sottrae al compito di indicare alcuni obiettivi ritenuti prioritari per la nostra regione. Li sintetizziamo in dieci “parole chiave” con una precisazione: tutte hanno sullo sfondo una centralità, quella dei giovani. Una regione e un Paese incapaci di valorizzare i propri giovani non hanno futuro:
- Istituzioni. L’epidemia di Covid ha avuto alcuni effetti paradossali, di cui non sempre ci rendiamo conto: di fronte ai drammatici effetti sociali ed economici dell’epidemia tutti hanno chiesto un forte intervento dello Stato. Lo hanno chiesto anche quelli che prima urlavano: “Meno Stato e più mercato”. Serve uno Stato efficiente e servono istituzioni (statali e regionali) più vicine ai cittadini e al servizio dei cittadini.
- Sanità. L’epidemia di Covid ci ha fatto comprendere l’importanza del Servizio Sanitario Nazionale, dopo che per decenni lo abbiamo sottoposto a pesanti tagli. E ci ha fatto comprendere che deve essere un Servizio certo efficiente, ma pubblico e diffuso nel territorio. La rete sanitaria regionale va quindi ripensata profondamente in modo da giungere a una vera medicina territoriale.
- Inclusione. I grandi fenomeni migratori e i processi di impoverimento in atto hanno reso centrale il tema dell’esclusione sociale. Nelle Marche sta crescendo il numero degli esclusi. Contrastare l’esclusione sociale significa contrastare l’idea che la povertà più grave e la marginalità sociale siano un problema di ordine pubblico: i poveri non sono delinquenti. Questo vale però per tutti i poveri: per gli italiani e per gli immigrati. Non è accettabile una società basata sull’intolleranza, sull’odio e sull’esclusione. Le Marche si proclamano una regione accogliente; chiediamo politiche di inclusione sociale, per tutti.
- Povertà. Il Reddito di cittadinanza, avendo aumentato le risorse disponibili, è riuscito a dare un sostegno a un maggior numero di famiglie. Ma senza le nuove politiche attive per il lavoro, il reddito di cittadinanza si riduce soltanto a un sussidio assistenziale. Per affrontare un fenomeno complesso come quello della povertà non bastano le misure di sostegno al reddito; bisogna intervenire, oltre che sui centri per l’impiego, anche sulla sanità, sulla scuola e, più in generale, sui servizi sociali per l’intera famiglia, creando attorno al Reddito di cittadinanza una rete di Welfare locale, fatta di stretti rapporti fra gli operatori sociali del settore, il volontariato e il Terzo Settore.
- Aree interne. Anche prima del terremoto del 2016 l’Europa aveva lanciato la Strategia delle aree interne. Il terremoto ha mostrato la fragilità di un modello di sviluppo incentrato unicamente sul turismo. Oltre a denunciare ancora una volta gli intollerabili ritardi della ricostruzione, chiediamo politiche integrate in grado di rilanciare l’economia e la vita di tutto l’entroterra, nella convinzione che le aree interne non sono un problema ma una opportunità da cogliere. In questo senso anche la ricostruzione può divenire una opportunità, ma solo con un processo di ricostruzione partecipata si potrà far rinascere le comunità distrutte e dare un futuro ai paesi dell’Appennino
- Macroregione. Le Regioni Toscana, Umbria e Marche hanno avviato un processo di coordinamento e di integrazione con l’obiettivo di dar vita a una “macroregione”. La “macroregione dell’Italia di mezzo” svolgerà un ruolo positivo se spingerà a intervenire sulle criticità più preoccupanti emerse negli ultimi anni: dalle politiche su lavoro, ricerca e innovazione alle infrastrutture materiali e immateriali; dalle politiche territoriali e ambientali ai nodi dell’internazionalizzazione. Ma una nuova regionalizzazione, magari economicamente più efficiente, non può essere fatta a tavolino, con l’intervento soltanto di politici e funzionari regionali, senza coinvolgere la società civile di ciascuna regione: dal sindacato all’associazionismo e ai mondi vitali presenti nelle comunità locali. Non nascono nuove regioni se non si coinvolgono i cittadini.
- Formazione. Tutte le analisi dedicate al futuro dell’umanità attestano un dato: cresceranno di più i Paesi che punteranno sull’istruzione, in particolare: istruzione formale (specialmente tecnica e scientifica) e istruzione pratica (con tirocini e maggiori rapporti tra scuola e lavoro). Come sta già accadendo fra i Paesi più industrializzati al mondo, cresceranno di più i Paesi che punteranno sulla ricerca e investiranno nella ricerca (ricerca pura e ricerca applicata). Chi non investe in Ricerca e sviluppo sarà al traino dei Paesi più avanzati. Occorre puntare sulla scuola, sulla qualità della scuola e sull’alternanza scuola-lavoro, con l’obiettivo di avere più laureati soprattutto nei settori scientifici e tecnici. Ma servono anche percorsi di formazione permanente e politiche attive che accompagnino l’aggiornamento delle competenze.
- Innovazione. Ormai è accertato: il futuro di ogni Paese dipende dalla capacità di innovare; occorre quindi favorire l’innovazione tecnologica. La bassa produttività dell’Italia è dovuta all’ancora larga diffusione di imprese nei settori maturi, al permanere di tecnologie tradizionali e alla mancanza di investimenti in innovazioni tecnologiche. Manca una politica che si muova in questa direzione. L’unica misura presa (la legge Industria 4.0), da sola, è chiaramente insufficiente. Serve un Piano industriale nazionale. La colpa non è solo della politica. Manca una classe imprenditoriale che creda nell’innovazione. I nostri imprenditori hanno scelto di delocalizzare in Paesi con un basso costo del lavoro, puntano a restare sul mercato pagando poco i loro lavoratori, non assumono giovani laureati e non investono in nuovi macchinari. Gli esempi, anche nelle Marche, non mancano. Con queste scelte non c’è futuro.
- Lavoro. L’attuale crisi ha dimostrato quali sono gli effetti deleteri di una eccessiva finanziarizzazione dell’economia. Bisogna tornare a privilegiare l’economia reale (e non le rendite finanziarie) con l’obiettivo di far crescere il lavoro.. E servono investimenti per la creazione di nuova occupazione. Nella cosiddetta “economia verde”, ad esempio, vari settori possono offrire nuove opportunità di lavoro. Molti altri posti di lavoro, per fare un altro esempio, potrebbero essere garantiti dalla corretta gestione e dalla costante manutenzione del territorio, in modo da evitare le enormi spese provocate dal dissesto idrogeologico. L’intero pianeta avrà un futuro solo se si riuscirà a realizzare uno sviluppo sostenibile: ma la vera sostenibilità, oltre a quella ambientale, è anche quella sociale. Occorre puntare sulle energie rinnovabili e sull’agricoltura biologica, ma occorre anche salvaguardare la coesione sociale aiutando i più deboli e contrastando anche le eccessive disuguaglianze con politiche fiscali di redistribuzione.
- Giustizia sociale. La crescita delle disuguaglianze che si è avuta negli ultimi decenni sta minando la coesione della nostra società. Senza coesione sociale una società non ha futuro. La coesione sociale si ottiene coltivando e favorendo i rapporti sociali: quindi evitando di disperdere il capitale sociale sul quale si è costruita la fortuna di regioni come le Marche e dell’Italia intera. Ma la coesione sociale è frutto anche della giustizia sociale.
Come in Italia, anche nelle Marche siamo di fronte a una politica che non guida lo sviluppo e una classe imprenditoriale che rinuncia al suo ruolo. È una strada senza futuro. Se così è per l’Italia, ancora di più lo è per le Marche. Lo attesta l’Istat. Siamo una regione che non innova, che non investe in Ricerca e sviluppo, che non dà spazio ai giovani e che anzi li spinge a emigrare in altri Paesi europei dove per loro c’è lavoro e c’è un lavoro retribuito in modo decente. Se non si cambia, non fermeremo il declino del nostro Paese.