Di fronte alle tante manifestazioni di intolleranza e violenza che vediamo intorno a noi in questo periodo, dal terrorismo alle altre forme di aggressione e di ingiustizia, non si può non guardare con grande fiducia e profonda attenzione agli sprazzi di vitalità, coraggio e indignazione che provengono da tanti giovani dei più diversi contesti nazionali e culturali. Dai giovani impegnati contro la mafia, e che perciò militano nelle organizzazioni che si battono contro la criminalità, a quelli che manifestano nelle piazze di tutto il mondo contro gli attentati di stampo fondamentalistico, a quelli che fanno volontariato, spesso con modalità poco appariscenti e note, ma con grande dedizione e impegno, alle giovani donne musulmane che si ribellano a una condizione di marginalità ed esclusione rischiando anche la vita, alle giovani coppie che marciano con i loro bambini in braccio per fuggire alla guerra e alla distruzione e approdare in contesti di vita più accoglienti nei quali ricostruire la propria esistenza. Siamo talmente storditi dal male e dalle sue molteplici manifestazioni, che rischiamo di non cogliere il portato di innovazione e di voglia di un futuro migliore che anima questi ed altri simili comportamenti giovanili, molto di più di quanto non si rilevi nella popolazione adulta. Eppure a ben vedere, e analizzando i dati sociologici sui valori e le propensioni dei giovani dei nostri giorni, dovrebbe essere facile rendersi conto che siamo in una fase nuova per quanto riguarda la condizione giovanile. Molti di noi adulti rimangono attaccati al ricordo delle fasi precedenti, che hanno scandito i decenni dopo la ripresa post-bellica: l’era della contestazione conflittuale del ’68 e del periodo immediatamente seguente, quella del successivo ‘riflusso’ – come è stato chiamato – nel conformismo e nell’anomia del periodo dell’espansione dei consumi, e quella del prolungamento dell’adolescenza e del rifuggire dalle responsabilità – la cosiddetta era dei ‘bamboccioni’ o dei ‘Neet’ ( not in education, employement or training, coloro che non studiano, non lavorano e non si preparano a farlo) – del passaggio di secolo e dell’epoca della crisi. In realtà anche all’interno di quelle fasi storiche sarebbe stato utile osservare le tante eccezioni al modello dominante, che pure esistevano, e la casistica non banale e non insignificante di comportamenti e di associazionismo costruttivo e valoriale in ambito giovanile. Oggi, poi, dovrebbe essere ormai chiaro che ci troviamo in una stagione diversa, nella quale la condizione giovanile è fatta di maggiore maturità, positività, cultura e resistenza, in Italia e non solo. Ce lo dimostrano i più di 2 milioni di giovani che svolgono attività di volontariato in Italia, anche in contesti interni ed esteri molto difficili, le decine di migliaia che si trasferiscono lontano da casa per studiare o lavorare, e coloro che anche in questi giorni scendono in piazza per reclamare la pace, la non violenza, il rispetto del prossimo e la giustizia. Sono giovani, a volte anche giovanissimi, che sono mediamente più consapevoli e informati dei loro predecessori, che si interessano con particolare attenzione ai fatti del mondo e agli avvenimenti della politica, anche internazionale e che cercano di non lasciarsi coinvolgere dalla omologazione opportunistica di tanta comunicazione mass-mediatica, e nemmeno dalla sfiducia cosmica che le tonalità comunicative prevalenti suggeriscono. Certo, non dobbiamo nasconderci che esiste una dualità nella condizione giovanile, e che sussistono fasce di emarginazione giovanile e di arretratezza culturale che si annidano in aree geografiche particolarmente degradate e tormentate dall’influsso della criminalità organizzata o all’interno delle quali allignano spesso il fondamentalismo e il terrorismo. Ma è sempre più chiara la necessità di mettere in campo strumenti e azioni consistenti di valorizzazione della spinta di rinnovamento che promana dalla parte di gran lunga più propositiva dei giovani: quella orientata alla definizione di nuovi valori e princìpi di convivenza collettiva e alla loro rivendicazione a voce alta. 

Da Avvenire del 9 dicembre