È con tutta la tristezza di cui è capace il nostro cuore che apprendiamo della scomparsa di don Loris Francesco Capovilla, 100 anni di amore per gli ultimi, di Speranza in una Chiesa che si rinnova, di cristianità intrisa di profonda umanità e di gioia in un Dio che rinnova la sua fiducia nell’uomo in ogni evento della storia…..uno dei pochi vescovi che chiesero una approfondita riflessione prima della deplorazione della Chiesa italiana alle Acli, Acli di cui non ha mai smesso di essere amico e fratello. Per noi delle Marche, dopo i tanti anni passati da arcivescovo e Delegato Pontificio a Loreto, è un vero padre. Sicuri che contunuerà a lottare con noi da lassù ringraziamo il Padre per averlo messo al nostro fianco.La sua testimonianza dei valori del Concilio e della figura di Giovanni XXIII continuerà ad accompagnarci. Grazie don Loris.
Le Acli marchigiane.
LA BIOGRAFIA DI LORIS CAPOVILLA
Nato a Pontelongo il 14 ottobre 1915, orfano del padre a sette anni, trasferitosi con la madre e la sorella a Mestre nel ’29, Capovilla era stato ordinato sacerdote nel ’40. L’entrata in guerra dell’Italia mandò a monte i progetti di chi voleva farlo proseguire negli studi. Così nel frattempo gli vennero affidati impegni di coadiutore parrocchiale, catechista, cerimoniere, cappellano… Inviato all’aeroporto militare di Parma per l’assistenza spirituale, lì fu colto dall’armistizio del ’43 e strappò alcuni avieri all’internamento.
Ritornato a Venezia a dicembre, anche perché malato, fu cappellano dell’ospedale per gli infettivi a S. Maria delle Grazie. Poi nel dopoguerra cominciò a lavorare ai microfoni della Rai di Venezia, alla Voce di San Marco, all’Avvenire d’Italia. Subito dopo l’arrivo nella laguna – 15 marzo ’53 – il neopatriarca Roncalli (già incontrato sia a Venezia che a Parigi) l’aveva voluto come segretario nonostante gli avessero sussurrato .“È un bravo prete, non gode però buona salute e avrà vita breve”. ”Se non ha salute verrà con me e morirà con me”, aveva sentenziato il patriarca.
E invece… dopo aver servito Roncalli a Venezia e in Vaticano per un decennio, gli è sopravvissuto per più di cinquant’anni. Raccogliendone l’eredità, facendone conoscere gli scritti: il suo modo per essere fedele al mandato ricevuto da Giovanni XXIII di “storico” del suo papato e del Vaticano II. Fedele alla bussola del Concilio è sempre stato pure nel suo stile episcopale e nei suoi testi pastorali da quando, nel ’67, fu eletto arcivescovo di Chieti-Vasto e, quando, dal 1971, divenne “il vescovo dei pellegrini” alla Delegazione Pontificia di Loreto, cui fece seguito, dal 1989, dopo un periodo ad Arre, l’approdo a Sotto il Monte.
Qui ha continuato a studiare le carte roncalliane e a metterle a disposizione degli studiosi.Qui ha ricevuto la porpora per volontà di un pontefice che ha davvero amato senza averlo mai incontrato: ritrovandoselo vicino nella preghiera, nell’amore per i poveri, nella visione ecclesiologica. “Nutro fiducia sulle sorti del pianeta Terra. Continuo a proporre attenuanti alle colpe dell’umanità, non per inclinazione al vituperato buonismo, ma per dovere di giustizia temperata dalla misericordia…”, così disse dopo l’imposizione della berretta cardinalizia (i temi poi emersi nella Laudato si’ e nell’anno giubilare).
Negli ultimi tempi, non dimenticando mai nessun momento della sua vita accanto a papa Giovanni condividendone sofferenze e gioie, era arrivato a punte di ottimismo sempre più palesate: “Vivo i miei giorni del tramonto assistendo al rinnovarsi dell’aurora della Chiesa. Ed è motivo di consolazione, anche se so che ogni giorno, ogni notte è buona per partire. Tantum aurora est!”.
tratto da avvenire.it