“Fratelli tutti” è il titolo della terza enciclica di papa Francesco, resa pubblica il 4 ottobre, festa di San Francesco, un documento impossibile da sintetizzare in poche righe, ma dal quale si possono trarre alcune importanti indicazioni, anche per il particolare momento che stiamo vivendo.

Innanzitutto va sottolineata la continuità con l’enciclica “Laudato si’”, dedicata ai problemi del nostro pianeta, la “casa comune”: la fratellanza di cui si parla non riguarda soltanto il rapporto fra gli esseri umani, ma anche il rapporto con il creato. Anche questa enciclica  si apre con una analisi dei problemi del mondo di oggi, che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale. Il papa denuncia i “segni di un ritorno all’indietro”, in conflitti anacronistici, in “nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi” e in molteplici forme di razzismo: “è inaccettabile – scrive il papa – che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti”.

A questo “mondo chiuso” il papa contrappone “un mondo aperto”, fondato sulla dignità di ogni persona, sulla legge suprema dell’amore fraterno e, come si legge nel sottotitolo dell’enciclica, “sulla fraternità e l’amicizia sociale”. Tutta l’enciclica trae ispirazione dalla parabola del buon samaritano, che ci propone appunto una fraternità universale aperta, “che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita”. Di qui l’invito ad avere “un cuore aperto al mondo intero”, unendo un sano amore per la propria patria all’apertura ai problemi del mondo intero. Dalla sfida di “sognare e pensare un’altra umanità” si passa alle sfide concrete che devono affrontare gli uomini di oggi; il papa riprende così temi a lui cari: il rifiuto della “cultura dello scarto” e del disprezzo per i deboli, il rispetto dei diritti umani, il corretto atteggiamento nei confronti delle migrazioni (vengono riproposti i 4 verbi: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”), “il grande tema del lavoro”, l’aiuto ai poveri consentendo loro “una vita degna mediante il lavoro”.

In una “società pluralista”, la fraternità nel mondo si costruisce sul dialogo, come “riconoscimento del punto di vista dell’altro”; ma si costruisce anche sul superamento dei conflitti, sul perdono reciproco e sulla pace. Da queste convinzioni discende la chiara condanna della guerra (non esiste una guerra giusta) e della pena di morte, definita “inammissibile” e quindi da abolire in tutti i Paesi del mondo. Nella costruzione della fraternità universale un contributo fondamentale deve venire dalle religioni, da tutte le religioni, a partire dal “dialogo tra persone di religioni differenti”.

Nell’enciclica non manca un riferimento alla pandemia che stiamo vivendo, con una indicazione di fondo: “Il vero dramma di questa crisi sarebbe quello di sprecarla”. Il papa riprende quanto aveva affermato nella meditazione del 27 marzo a Piazza San Pietro: “siamo tutti sulla stessa barca”. Siamo tutti fragili e disorientati, ma il virus ci ha fatto comprendere che ci troviamo tutti sulla stessa barca e ci ha reso consapevoli di essere “una comunità mondiale”. Non sprechiamo quindi questa crisi; dobbiamo sconfiggere il Coronavirus, ma ci sono altri virus da sconfiggere: l’egoismo, l’individualismo, il razzismo. Affrontiamoli, consapevoli che siamo fragili, ma convinti anche che “nessuno si salva da solo”.