Le elezioni del 25 maggio per il rinnovo del Parlamento europeo costituiscono una occasione da non sprecare in mano ai cittadini sovrani per scegliere il superamento delle politiche di austerità e per ridare invece centralità al lavoro ed agli investimenti per lo sviluppo. Non vogliamo che l’Europa sia unità nella povertà, ma nella solidarietà, nello sviluppo sostenibile, nella democrazia e nella pace.

Le prossime elezioni devono, altresì, consentire finalmente la concretizzazione di quel grande sogno – sociale, politico ed istituzionale – rappresentato dagli Stati Uniti d’Europa; un sogno ispirato dal pensiero di grandi italiani, teso al rifiuto della guerra come metodo di soluzione dei conflitti e alla cancellazione degli egoismi e degli interessi nazionali.

Il percorso complesso ed articolato che ha favorito gli attuali livelli di integrazione europea sembra ormai concluso e l’attuale inadeguato assetto istituzionale – unitamente a politiche europee condizionate dal conservatorismo e da un neoliberismo sfrenato e senza regole – sembrano negare quegli obiettivi.

Sul piano istituzionale abbiamo un Parlamento europeo svuotato di poteri, che esprime pareri ma non riesce a produrre decisioni autonome, lasciando di fatto che siano i rapporti tra i singoli governi nazionali a decidere i destini dell’Europa, condizionati dal peso del Paese con maggior peso economico.

Manca un ruolo propositivo e consapevole, una partecipazione attiva e democratica dei cittadini che subiscono le decisioni senza possibilità di appello. Non è un caso che nel pieno di una grave crisi economica, con oltre venti milioni di inoccupati in Europa, con indici di povertà assoluta e relativa in costante aumento, aumenti la diffidenza verso l’Europa, percepita come lontana ed incapace di risolvere i problemi se non vissuta come l’origine stessa delle difficoltà dei singoli Paesi membri.

I risultati delle più recenti consultazioni elettorali in Europa e il dibattito politico che si è acceso anche nel nostro Paese stanno a dimostrarlo e non è escluso un forte e preoccupante astensionismo alle elezioni del 25 maggio. Prendono il sopravvento i partiti che costruiscono le proprie campagne elettorali contro l’Europa e coloro che vogliono il ritiro dalla moneta unica.

Le politiche di austerità imposte dai Governi europei più forti ai Paesi in difficoltà, di fatto obbligano a tagli e sacrifici proprio i Paesi che soffrono di più la crisi e chi sono quelli maggiormente bisognosi di un’azione di sostegno solidale. Gli egoismi dei Paesi più forti corredati da un atteggiamento censorio e pregiudiziale penalizzano i Paesi più deboli ai quali vengono addebitati anche errori che non sono loro. L’impostazione data all’Europa da Jacques Delors, che dava impulso al progetto Spinelli di cui ricorre quest’anno il trentennale, volta a creare le condizioni per una piena e buona occupazione, per un lavoro dignitoso per tutti segue oggi il passo, sacrificata al rispetto dei vincoli di bilancio e dalle politiche di austerità, dai differenziali dei tassi di interesse sul debito pubblico: una corsa che ha creato disoccupazione e crisi del welfare, mettendo in ginocchio milioni di persone. Quelli che a torto vengono considerati “inevitabili” effetti collaterali della crisi e delle politiche restrittive sono in realtà il risultato di politiche dissennate, ed impongono uno sviluppo diverso, fondato sul diritto ad un lavoro dignitoso per tutti, sulla giustizia sociale ed una economia di giustizia, sulla lotta alla fame, sul diritto alla salute, il rispetto dell’ambiente.       L’antieuropeismo oggi così diffuso è la naturale reazione alle politiche conservatrici e neoliberiste che hanno dettato l’agenda europea, soprattutto in materia di economia, determinando la crisi.

Il superamento dei vincoli che hanno portato la Grecia al collasso e grandi difficoltà in altri Paesi, tra i quali l’Italia, è un obiettivo ormai irrinunciabile, a partire da quel Fiscal Compact che rischia di bloccare per l’Italia e presso parte dell’Europa ogni tentativo di ripresa dell’occupazione e della qualità dell’economia.

Auspichiamo che ci sia una profonda revisione di quei trattati – da Mastricht, a Lisbona, ad Amsterdam – che hanno imposto sistemi di sviluppo assolutamente inadeguati, ignorando i vincoli ambientali e le “biodiversità”, trascurando l’obiettivo finale della qualità della vita di tutti gli europei.

Occorre superare l’idea che il mercato sia in grado di autoregolarsi e di superare le contraddizioni sociali; i fatti drammatici di questi anni stanno a testimoniare che l’unica regola del mercato è “non avere regole”. Inoltre la stessa scelta di puntare tutto sulla moneta unica ha rivelato i suoi limiti; le scelte economiche fondamentali sono rimaste appannaggio dei governi nazionali, consentendo finanche la concorrenza finale al ribasso tra i Paesi membri.

Per invertire la rotta occorre una modifica sostanziale del ruolo della BCE che dovrebbe intervenire per sostenere la ripresa economica e l’occupazione. Occorrono inoltre misure europee che mettano sotto controllo i mercati finanziari che agiscono con le stesse modalità che hanno provocato la crisi attuale e ne prefigurano altre in futuro.

Le istituzioni europee vanno profondamente modificate nell’assetto istituzionale e nel funzionamento. Non è ulteriormente tollerabile che le decisioni siano sottratte ai popoli e ai cittadini europei, e demandate esclusivamente ai governi nazionali.

Nel quadro di una riflessione su tutto l’occidente, c’è il problema di rigenerare e rivedere l’architettura dell’Unione Europea, al fine di ridurre gli squilibri tra i Paesi più sviluppati e quelli in difficoltà, avviando con determinazione un processo di coesione autentica. In definitiva, c’è la necessità di andare verso una rigenerazione complessiva del progetto europeo.

Solo se si avvia un percorso condiviso, l’Unione Europea potrà esercitare un ruolo incisivo sullo scenario globale.

Riteniamo che i risultati e i benefici ci saranno solo quando avremo Istituzioni europee elette con consapevolezza direttamente dai cittadini e che decidono a prescindere dagli interessi nazionali dei singoli Stati membri.

Un primo passo in questa direzione è costituito dalla scelta delle principali famiglie politiche europee per le elezioni del 25 maggio di indicare un loro candidato per la presidenza della Commissione Europea.

Supereremo la crisi solo quando avremo un governo politico europeo dell’economia ed una economia fondata nuovamente sul lavoro e la produzione piuttosto che sulla finanza. Vivremo tutti meglio quando debelleremo le politiche di austerità espansive e quando lavoreremo tutti insieme per assicurare la democrazia e i diritti umani per tutti; quando sarà sconfitta la fame e assicurato un lavoro dignitoso per tutti e quando lavoreremo per il rispetto dell’ambiente e del creato. Sono questi gli elementi essenziali sui quali si costruisce la pace autentica, si garantisce la sicurezza e si attua la difesa, al di là degli eserciti, delle frontiere e della corsa agli armamenti.   L’Europa non necessita di nuovi nemici e preoccupa il riemergere di una nuova competizione per l’egemonia, tra Stati Uniti e Russia, sulla pelle del popolo Ucraino, con l’Europa ridotta a teatro di un tale pericoloso confronto. L’interesse dell’Unione Europea non può essere quello di inasprire i rapporti alle sue frontiere orientali, bensì quello di avviare una iniziativa comune per la pace e la sicurezza dell’intera Europa, e quello di confermare una cooperazione culturale, economica e politica con i popoli della metà orientale del Continente, evitando delle forzature che possono mettere a repentaglio la pace.

Sono trascorsi venticinque anni dalla grande Assemblea Ecumenica di Basilea (che si svolse dal 15 al 21 maggio 1989) sul tema “Pace nella giustizia”. Vale più che mai per il presente ciò che il documento conclusivo di questa Assemblea indicava per l’Europa, allora ancora divisa in due blocchi: “ nei nostri paesi e del nostro continente non c’è nessuna situazione in cui la violenza sia richiesta o giustificata”.

Il ruolo di Associazioni quali le Acli – radicate in Italia ma anche in molti Paesi europei – è nel promuovere su questi temi cittadinanza attiva, col reale coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini alla vita delle loro comunità e alla definizione delle politiche pubbliche nelle loro città, nel loro Paese, in Europa. Una cittadinanza attiva e democratica basata sullo status dei cittadini, che include tutti gli aspetti della vita in una società democratica, inerenti un’ampia gamma di argomenti, quali l’istruzione, la cultura, lo sviluppo sostenibile, l’inclusione delle minoranze etniche e dei diversamente abili, l’uguaglianza di genere. Una cittadinanza democratica, che garantisce ai cittadini e alle organizzazioni della società civile di avere voce in capitolo nelle scelte e nelle decisioni delle politiche dell’Unione Europea.

Vogliamo lavorare affinché le Istituzioni europee godano della fiducia della gente e assicurino il coinvolgimento attivo dei cittadini e della società civile nei processi decisionali.

A partire da questo rinnovato impegno, auspichiamo una partecipazione responsabile al voto del 25 maggio per impedire l’affermazione dei movimenti antieuropei e riavviare la costruzione degli Stati Uniti d’Europa quale elemento decisivo per le sorti del mondo e del nostro Paese.

Le pur legittime critiche alla governance europea non possono e non devono essere utilizzate da quanti stanno strumentalmente trasformando le paure delle persone, che duramente stanno pagando l’asprezza della crisi, in sentimenti xenofobi e antieuropei, e trasformando questo appuntamento elettorale in un referendum abrogativo dell’Unione Europea.

Per questo, andare a votare il 25 maggio è assai più di un dovere civico, è un’azione politica e morale. E’ dire sì – e impegnarsi anche in prima persona – perché il progetto europeo vada avanti e si perfezioni e perché il modello sociale europeo sia sempre più inclusivo e solidale.

Riassumiamo “per titoli” quelle che secondo noi sono le maggiori priorità cui la politica comunitaria è chiamata con urgenza a rispondere e che ci vedono direttamente impegnati, all’interno di reti nazionali ed europee, nella formulazione di proposte, iniziative e appelli.

1. Deficit democratico e riforma dei trattati: la riapertura di una fase costituente     Soprattutto negli ultimi quattro anni – amplificato dalla crisi economica e dagli effetti impietosi che l’assenza di politiche comuni in materia finanziaria e fiscale ha prodotto il dibattito sulle Istituzioni europee, sulla loro efficacia e rispondenza, si è sempre trasformato in un dibattito sul deficit democratico dell’Unione.

Il ruolo del Parlamento europeo, troppo debole e subalterno rispetto a quello del Consiglio, con il conseguente scadere della politica comunitaria a metodo intergovernativo; il carattere tecnocratico della governance europea, per il quale la troika – non eletta e formata dalla Commissione Europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale – può obbligare i parlamenti nazionali ad accettare tagli di bilancio e riforme strutturali. Sono queste, due fra le principali criticità individuate nel processo di integrazione europea, che non è riuscito a superare le contraddizioni tra gli interessi nazionali e l’interdipendenza economica e a rimediare alla contraddizione tra gli interessi nazionali e l’interdipendenza economica e a rimediare alla contraddizione tra la definizione di interessi pubblici come beni comuni europei e l’affidamento delle politiche per realizzarli alla sola responsabilità degli Stati nazionali.

Le Acli ritengono che sia giunto il momento di avviare una fase di revisione delle forme di governance per rispondere in modo adeguato ai cambiamenti intercorsi. L’idea – condivisa all’interno del Movimento europeo – è di promuovere un nuovo ordinamento costituzionale, elaborato dal Parlamento Europeo e proposto per approvazione prima a una Convenzione costituente e poi a un referendum paneuropeo:
-aggiornerà gli obiettivi dell’Unione per adattarli ai problemi internazionali ed europei di oggi
-rinnoverà la ripartizione delle competenze fra il livello federale e gli Stati membri riattribuendo al primo livello la responsabilità di assicurare beni comuni a dimensione transnazionale
-determinerà le condizioni per la trasformazione dell’Unione in Stati Uniti   d’Europa    -riformerà le Istituzioni Europee (il Parlamento stesso, la Commissione, il Consiglio, il Consiglio Europeo, la Corte di Giustizia, la BCE) e gli altri organi europei per renderli pienamente idonei a realizzare azioni comuni nei quattro ambiti fondamentali delle politiche sociali, politiche economiche e finanziarie, relazioni e cooperazione internazionale, sicurezza e difesa.

2. Il primato della politica sull’economia e la finanza e la creazione di un’Europa dei diritti e della solidarietà
Rafforzare la dimensione sociale dell’Unione, valorizzare l’economia sociale e tutti i soggetti di terzo settore; combattere la povertà e la diseguaglianza, dare pari opportunità di occupazione a tutti i cittadini e le cittadine europee; sostenere l’impegno dell’Europa per lo sviluppo e la lotta alla povertà nel mondo; riformare le politiche europee sull’immigrazione, abbandonando l’ottica dell’Europa “securitaria”; promuovere la riforma del sistema finanziario.

Sono queste, in estrema sintesi, le proposte e al tempo stesso gli impegni che le Acli assumono e che condividono all’interno di più ampie reti nazionali e internazionali.

3. Un piano comune straordinario per l’occupazione e lo sviluppo sostenibile
Avviare un Programma straordinario di investimenti pubblici dell’UE per la produzione e il finanziamento di beni pubblici europei (energie rinnovabili, ricerca, innovazione, reti infrastrutturali, agricoltura ecologica, protezione dell’ambiente e del patrimonio culturale ecc.); costituire un Fondo europeo straordinario di solidarietà per creare nuovi posti di lavoro, soprattutto per i giovani; incrementare le risorse proprie del bilancio europeo tramite una tassa sulle transazioni finanziarie e una carbon tax. Sono questi, in estrema sintesi, gli obiettivi che le Acli si propongono di perseguire anche – simbolicamente – attraverso l’utilizzo di uno dei più recenti e innovativi strumenti di democrazia partecipativa, l’Iniziativa dei Cittadini Europei.

4. Politiche comuni in materia di immigrazione
Politiche comuni non solo orientate e/o suggerite da obiettivi di difesa dei confini e di sicurezza, ma improntate alla difesa della vita e dei diritti umani; revisione regolamento di Dublino; progressiva armonizzazione delle politiche nazionali, in vista di una politica comune su migrazioni e protezione internazionale; programmi di protezione umanitaria; armonizzazione tra i Paesi membri del diritto di voto amministrativo e delle misure di riconoscimento della cittadinanza ai migranti, estendendo il principio dello ius soli; lotta alla tratta; attivare vere politiche di vicinato, con particolare riferimento alla sponda sud del Mediterraneo.

5. Politiche comuni in materia di politica estera
La politica estera dell’UE, nonostante i nuovi strumenti istituzionali previsti dal Trattato di Lisbona, come la figura dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e il Servizio europeo per l’azione esterna, è rimasta ancorata ai tradizionali limiti, continuando sostanzialmente a funzionare secondo il metodo intergovernativo e ad essere orientata da interessi e priorità esclusivamente nazionali. L’inefficacia e la debolezza dell’Ue, drammaticamente in scena durante il conflitto nei Balcani, si è manifestata con la stessa misura, ad onta delle consistenti modifiche introdotte dal Trattato. Dalla Libia, alle cosiddette “primavere arabe”, al terribile scenario siriano, fino alle rivolte dell’Est europeo e in particolare alla crisi Ucraina, vengono conferme di fallimento che non è più tollerabile ignorare.

6. Politiche comuni in materia di fiscalità
Rientrano sotto questo “titolo”: l’introduzione a livello europeo di una tassa sulle transazioni finanziarie; la lotta all’evasione e all’elusione fiscale; la separazione tra banche commerciali e banche d’affari; la definizione di un tetto alle retribuzioni e bonus dei manager; la riforma del sistema fiscale a protezione e sostegno dei paesi in difficoltà; la riforma delle regole del commercio interne all’Europa puntando a disincentivare il cosiddetto “social and environmental dumping”.

7. Politiche commerciali orientate alla qualità, all’equità e al rispetto della salute e del creato
Politiche comuni di regolamentazione del commercio internazionale a tutela della dignità dei lavoratori e dei contesti produttivi, per impedire l’introduzione e/o l’aggravarsi di disparità al loro interno; per impedire la riduzione della varietà e della qualità dei prodotti alimentari, e l’offesa all’ambiente. Le Acli guardano con preoccupazione ai negoziati commerciali (TTIP) fra l’UE e gli USA, giunti al loro quinto round che si terrà ad Arlington, in Virginia (USA), dal 19 al 23 maggio 2014. Nonostante in tale occasione siano previsti incontri con organizzazioni della società civile, va denunciato il clima di prevalente segretezza e di mancanza di controllo democratico con cui procedono questi negoziati. Le Acli chiedono che i contenuti di questa trattativa siano oggetto di una discussione pubblica e trasparente e di un voto dei parlamenti, anche per impedire che le tutele europee sul lavoro, sulla salute, sull’ambiente, sul divieto degli organismi geneticamente modificati vengano aggirate da accordi internazionali che riflettono gli interessi delle multinazionali e delle grandi banche d’affari e che possono cancellare quanto di buono l’unione Europea ha sin qui fatto per regolare i mercati. Un’economia sempre più modellata sugli interessi dei più forti finisce per produrre degli enormi squilibri. Ce lo ricorda papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangeli Gaudium: “oggi dobbiamo dire no ad una economia dell’esclusione e dell’inequità. Questa economia uccide” (§ 53). Per proteggere le persone dagli effetti deleteri dell’assolutizzazione del profitto serve l’impianto regolatorio dell’Unione Europea, che può essere migliorato e reso meno burocratico ma a cui non si può rinunciare senza esporsi al rischio di una colonizzazione non solo economica, ma anche culturale e politica.

8. Politiche di genere e di pari opportunità
Nonostante i passi compiuti negli ultimi 40 anni in campo legislativo per favorire pari opportunità tra uomini e donne, il fossato che ancora separa la loro condizione rimane profondo. C’è ancora molto da fare dal punto di vista culturale per colmare le differenze di genere, a partire da tutti quei fattori che ostacolano una parità di trattamento tra uomini e donne, dal mercato del lavoro – che vede penalizzate le donne, con condizioni economiche inferiori agli uomini – ai ruoli e ai compiti assunti all’interno dello spazio familiare e domestico. Sicuramente la crisi economica ha acuito, condizionato ed esposto ad una situazione di maggiore precarietà sia le donne che le famiglie. Per questo ci auspichiamo che uno sguardo di genere possa contribuire alla costruzione di una nuova Europa in cui servono politiche che, da una parte, favoriscano e promuovano la partecipazione della donna, dall’altra, la ‘semplice’ presa di coscienza che è fondamentale mettere al centro la questione femminile, se non altro perché le donne rappresentano la metà (se non più) della popolazione europea.