Il sogno infranto
Negli ultimi anni sono cresciuti lo scetticismo e la disaffezione nei confronti dell’Unione Europea. Il voto inglese a favore dell’uscita dall’Unione Europea è la prova più evidente di questa disaffezione. Le cause sono tante, ma certamente hanno inciso il malessere sociale provocato dalla profonda crisi economica dell’ultimo decennio e gli errori commessi dalle classi dirigenti europee che sono state incapaci di rispondere ai reali bisogni dei cittadini. Il malessere sociale è cresciuto anche per effetto dei processi di globalizzazione che hanno reso più precaria la vita di tanti lavoratori, hanno incrementato le disuguaglianze, hanno provocato l’impoverimento dei ceti medi e hanno portato alla marginalizzione di ampie fasce di popolazione giovanile. Di conseguenza sono cresciuti fenomeni sociali preoccupanti: atti di violenza, atteggiamenti razzisti e xenofobi, adesione a movimenti fascisti, crescita del rancore sociale, diffusione di posizioni estremiste. Le cause non sono solo economiche: molti sono depressi perché non trovano un lavoro o vivono nella precarietà, molti altri sono amareggiati perché nonostante il lavoro non riescono a mandare avanti la famiglia, altri ancora si sentono traditi dalle classi dirigenti e abbandonati da chi dovrebbe proporre un diverso modello di sviluppo, più equilibrato, più giusto o semplicemente più umano. In questa situazione sono cresciuti i movimenti populisti e i sovranisti che incolpano l’Europa e le politiche europee di quanto sta accadendo: I populisti promettono risposte semplici a problemi che sono invece molto complessi (nel caso dell’Italia, ad esempio, ignorando l’enorme peso del debito pubblico, che continua a crescere). I sovranisti propongono di risolvere i problemi tornando alle nazioni, cioè con il ritorno alla sovranità nazionale. In un mondo ormai globalizzato, è assurdo e rischioso pensare di affrontare i problemi da soli, rinchiudendoci nei nostri confini e puntando su soluzioni autarchiche. Di fronte a tutto questo, le critiche all’Europa sono giuste e legittime, purché la soluzione proposta non sia quella di smantellare l’Europa, ma sia chiedere all’Europa più tutele sociali e politiche economiche, migratorie e fiscali più inclusive. Insomma bisogna tornare al grande Progetto fondato sugli ideali di pace, di giustizia e di libertà, che ha portato alla nascita dell’Europa.
Allargare lo sguardo
Qualunque discorso sull’Europa oggi richiede lo sforzo di allargare lo sguardo: guardare all’indietro e guardare attorno a noi. Guardare all’indietro: l’Europa nasce dalle distruzioni e dai milioni di morti della seconda guerra mondiale, per evitare nuove guerre, nuove distruzioni e nuovi morti; con il sovranismo e con il nazionalismo non solo non si risolvono i problemi, ma crescono i rischi di nuove guerre. Guardare attorno a noi: non esistono altri posti al mondo con le tutele sociali e sanitarie, la democrazia reale e le politiche fiscali redistributive, come avviene in Europa. Certo tutto può e deve essere migliorato, ma è assurdo identificare l’Europa come un luogo di burocrati attenti soltanto ai bilanci degli Stati e impegnati a regolamentare temi insignificanti. Non possiamo dimenticare che: in Europa si è curati anche se non si ha l’assicurazione privata (richiesta invece negli Stati Uniti); le elezioni si svolgono regolarmente e si possono vincere anche se non si è miliardari (a differenza degli Stati Uniti e di tantissimi altri Paesi nel mondo); le politiche fiscali garantiscono una tassazione progressiva, almeno fino a quando non verranno introdotte “tasse piatte” (come si vorrebbe fare anche in Italia, sul modello anglosassone) che sicuramente favoriscono i ricchi. È bene ripeterlo: quanto detto finora non significa che non siano stati commessi errori e che tutto vada bene. Anzi. Occorre cambiare strada e lo si può fare soltanto con riforme radicali che punti a un nuovo modello di sviluppo. Ma, di fronte al pericoloso nazionalismo di Trump e di Putin e di fronte a nuovi colossi come la Cina, la soluzione non è certo uscire dall’Europa, diventare nazionalisti e fare da soli. L’unica soluzione credibile è sicuramente quella di rilanciare il Progetto Europeo, con le necessarie riforme istituzionali in senso confederale, ma anche, a giudizio delle Acli, con alcuni obiettivi chiari e precisi.
L’Europa che vogliamo
Questi sono gli obiettivi che, secondo le Acli, sono oggi prioritari:
A) Rafforzare il ruolo del Parlamento europeo e la partecipazione dei cittadini
Finora si è puntato sull’unione economica, monetaria e doganale, trascurando l’unione politica. Per realizzare l’unione politica, gli Stati nazionali devono cedere sovranità e investire nella “casa comune europea”. È stato un grave errore non muoversi in questa direzione. Servono riforme istituzionali in senso confederale per realizzare gli Stati Uniti d’Europa.
B) Promuovere una crescita economica sostenibile, inclusiva e guidata dall’innovazione Sul piano economico, oltre a ridurre il peso della speculazione finanziaria e ad armonizzare le politiche fiscali, occorre puntare su un grande Piano europeo di sviluppo che porti a una crescita inclusiva e socialmente sostenibile; una crescita attenta all’innovazione tecnologica e capace di affrontare le sfide che minacciano la nostra società.
C) Estendere un sistema comune di protezione sanitaria, sociale e previdenziale L’Europa è l’area che nel mondo garantisce il migliore Stato sociale: capillare, gratuito, universale. Nessuna “regione” del mondo investe come l’Europa in scuola, sanità previdenza e assistenza. Oggi lo Stato sociale viene rimesso in discussione anche nei Paesi europei più avanzati dal punto di vista sociale. Lo Stato sociale va salvaguardato, ma vanno anche approvate regole comuni per realizzare un sistema di protezione sociale e previdenziale comune.
D) Dare seguito agli accordi sul cambiamento climatico e affrontare con decisione i temi ambientali
L’Unione Europea ha prestato grande attenzione alle politiche ambientali. La gran parte dell’attuale normativa ambientale vigente in Italia discende dalle direttive europee. Oggi, affrontare il tema del cambiamento climatico non significa soltanto rispettare scrupolosamente gli accordi di Parigi (e purtroppo l’Italia lo sta facendo solo in parte); significa anche realizzare una crescita sostenibile sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista sociale, in modo da salvare il pianeta e nello stesso tempo garantire la qualità della vita dei cittadini europei.
E) Affrontare la questione migranti con scelte comuni e con politiche inclusive
In Europa i cittadini extracomunitari sono il 7% della popolazione complessiva: sono quindi un fenomeno gestibile e sostenibile. Il tema “migranti” va però governato in modo collegiale, sulla base di regole comuni, e in modo da garantire accoglienza e integrazione, come meritano tutti gli esseri umani, facendo leva su scuola, lavoro, casa e famiglia. Il tema “migranti” presuppone anche un impegno a porre fine alle situazioni di conflitto che provocano flussi migratori massicci. E richiede altresì investimenti per lo sviluppo dei Paesi di partenza. Al tema dei migranti è collegato il cosiddetto “inverno” demografico, che ormai caratterizza tutti i Paesi europei. Il calo delle nascite e l’innalzamento dell’età della popolazione europea spingono a considerare i migranti non come un “problema”, ma come una “risorsa” indispensabile per garantire il necessario equilibrio demografico al continente europeo. Tutto questo significa che il tema migranti va affrontato con un approccio radicalmente diverso da quello oggi dominante. Certo passare dalla logica dell’emergenza e della paura alla logica della valorizzazione non è facile, ma, se si vuole restare umani, non vi sono scorciatoie, né servono i muri.
F) Adottare una politica estera condivisa con l’obiettivo di garantire la pace in un mondo più giusto
L’Unione Europea ha garantito 70 anni di pace, ma sui temi internazionali è stata incapace di esprimersi con un’unica voce. La nuova Europa deve puntare a una politica estera realmente comune e a un sistema di “intelligence” integrato. Occorre, poi, arrivare anche a un esercito comune europeo, ma riducendo progressivamente le spese militari. Infine, e soprattutto, occorre una l’Europa che si affermi nel mondo come il più autorevole soggetto di pace (ovviamente insieme con l’Organizzazione delle Nazioni Unite). Proprio per le tragedie che ha vissuto nel recente passato, l’Europa può contribuire a costruire un futuro basato sul dialogo e sulla convivenza pacifica, sul rispetto dei diritti umani e sulla giustizia sociale.
Uniti per un mondo di pace e di progresso economico e sociale
Quella dell’Europa è una grande storia. È necessario continuare nella strada della cooperazione politica che l’Europa rappresenta: una cooperazione fra Paesi diversi, ma uniti da una cultura comune. Sono Paesi che, dopo un terribile conflitto mondiale, hanno deciso di unirsi per vivere insieme un destino di pace e di progresso. Oggi l’Europa deve mettere al centro il lavoro come strumento di crescita economica, culturale e relazionale dell’intera comunità. I Governi europei devono rafforzare l’Europa sociale mettendo in pratica il “Pilastro sociale” elaborato a livello comunitario negli ultimi anni. L’Unione Europea è l’unico livello di governo sovranazionale che può governare la globalizzazione, contrastare il peso dominante della finanza internazionale, delle multinazionali e dei colossi come la Cina, e contribuire alla costruzione di un nuovo ordine mondiale. I diritti nazionali si possono contemperare con i più alti interessi internazionali: dall’esperienza della cooperazione politica si deve ora passare a una politica estera condivisa e a forme di difesa comune. Proprio perché sorta sanando con lungimiranza le ferite della guerra, l’Europa oggi può e deve essere il più importante soggetto internazionale di pacificazione. La pace nel mondo richiede atti e soggetti di pace. Con l’Europa un futuro di pace è possibile: senza l’Europa e con Governi sovranisti (e nazionalisti) si rischia di nuovo la guerra.